La Corte di Cassazione fa chiarezza sulla disciplina del transfer pricing escludendone la rilevanza nelle operazioni nazionali. In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che, in tema di operazioni domestiche, non è applicabile l’istituto del transfer pricing quando le operazioni oggetto di contestazione si sono perfezionate tra società del medesimo gruppo, che operano all’interno del territorio dello Stato (Cass., sez. V, 25 giugno 2019l, n. 16948).

Nel caso esaminato l’Agenzia delle entrate ha contestato al contribuente il costo praticato sulla cessione eseguita con altra società del gruppo, anch’essa operante sul territorio nazionale. La società ha impugnato il provvedimento dinanzi al giudice tributario eccependo che le operazioni accertate non avevano procurato alcun vantaggio e rispondevano a una strategia economica diretta a raggiungere un risultato nell’interesse di tutte le società del gruppo.

La Suprema Corte ha affermato che le transazioni infragruppo domestiche non possono essere assoggettate alla stima del valore normale prevista dall’art. 9 del TUIR, né un’eventuale scostamento rispetto al prezzo di mercato può, di per sé, fondare una valutazione di elusività dell’operazione effettuata.

Deve, pertanto, ritenersi escluso che l’Amministrazione possa accertare maggiori ricavi in applicazione dell’istituto del transfer pricing tra società residenti nel territorio dello Stato, posto che la mera divergenza dal valore normale può costituire un mero elemento indiziario ai fini della valutazione di anti economicità dell’operazione.