Le dichiarazioni scritte rese da terzi in sede extraprocessuale sono prove ammissibili anche nel processo tributario, ma necessitano di essere liberamente valutate dal giudice.

È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 23 settembre 2021, n. 25804, con cui è stata affermata la possibilità di introdurre nel processo tributario le dichiarazioni scritte rese da terzi, sebbene il contenuto di tali documenti possa assumere al massimo il valore di indizio, da valutare sulla base dell’insieme delle prove prodotte durante il procedimento.

Nel caso oggetto della sentenza della Corte di Cassazione il contribuente riteneva di poter fornire la controprova della rettifica dell’Agenzia delle entrate sulla base di dichiarazioni scritte rese extragiudizialmente dai propri familiari.

La Suprema Corte, dopo aver riconosciuto l’ammissibilità di tali documenti sulla base principi del giusto processo e della parità delle parti di cui all’art. 111 Costituzione e 6 CEDU, afferma chiaramente che tali documenti assumono valore di indizio nel processo tributario.

Il giudice è quindi obbligato a valutare tali elementi sulla scorta dell’impianto probatorio nella sua globalità, non potendo fondarsi esclusivamente su quanto ivi contenuto per dirimere la questione.

Il valore di questi documenti necessita, inoltre, di essere liberamente valutato dal giudice sulla base dell’attendibilità del contenuto e dal riscontro dell’attendibilità delle dichiarazioni, indagando anche le qualità e la vicinanza alle parti dei dichiaranti.

La Suprema Corte ha quindi concluso il ragionamento statuendo l’insufficienza delle informazioni fornite dai familiari del contribuente a fornire la prova contraria degli elementi forniti dall’Amministrazione finanziaria.