L’inesistenza del credito di imposta da ricerca e sviluppo deve essere accertata nel termine di prescrizione di otto anni, al contrario, nel caso in cui il credito sia esclusivamente non spettante, tale termine è dimezzato, non essendo in tal caso richiesta un’approfondita attività istruttoria

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza del 16 novembre 2021, n. 34445 con cui la Suprema Corte ribadisce il principio di diritto in base al quale il termine di decadenza ottennale è applicabile esclusivamente nel caso in cui siano concessi dei crediti da ricerca e sviluppo ritenuti inesistenti.

Sotto tale profilo, la Corte di Cassazione ribadisce che può essere ritenuto inesistente il credito di imposta nel caso in cui manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatici o documentali disposti dagli artt. 36 bis e ter dpr 29 settembre 1973, n. 600. In alternativa la somma è da ritenere esclusivamente non spettante, con conseguenze operative nel termine di prescrizione per l’azione di accertamento e in ordine all’aspetto sanzionatorio.

Con tale intervento la Corte afferma esplicitamente che, ai fini della verifica della tempestività dell’azione di recupero dei crediti di imposta da ricerca e sviluppo, si deve dunque distinguere tra le ipotesi di inesistenza del credito di imposta indebitamente portato in compensazione, per le quali è previsto il termine prescrizionale di 8 anni, e i casi di mera non spettanza del credito, rispetto ai quali trova applicazione il ordinario di quattro anni dall’utilizzo della somma.

In tale sentenza la Suprema Corte sottolinea, inoltre, l’evidente collegamento tra il raddoppio dei termini dì decadenza per i crediti da ricerca e sviluppo e la non immediata riscontrabilità da parte del Fisco del carattere indebito della fruizione del credito mediante i controlli automatici e documentali. In quest’ottica la maggior durata del termine trova la propria giustificazione solo nei casi in cui sia necessaria una più complessa attività istruttoria da parte dell’Agenzia delle entrate, giustificando allo stesso modo una maggiore ripresa anche sotto il profilo sanzionatorio per i crediti inesistenti.

La differenza tra le due fattispecie ha, infatti, delle ricadute operative con riferimento al profilo sanzionatorio: mentre, nel caso in cui il contribuente fruisca di un credito da R&S successivamente ritenuto inesistente, è prevista una sanzione compresa tra il 100 al 200% della somma compensata, nel caso di crediti non spettanti la sanzione è solo pari al 30% del credito.