La Corte di Cassazione, con la sentenza 14 gennaio numero 1298, è intervenuta a delimitare i confini della responsabilità dell’operatore doganale nel caso di utilizzo indebito sui prodotti della marcatura “Made in Italy”.

L’art. 4, comma 49, della L. 350 del 2003 punisce, ai sensi dell’art. 517 del codice penale (reclusione sino a due anni e multa sino a ventimila euro), chi commercializza prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine.

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha precisato che, in materia di origine, il reato di cui all’art. 517 del codice penale è punito a titolo di dolo generico, pertanto, l’agente deve essere consapevole non solo della natura ingannatoria del segno, ma anche dell’esistenza del medesimo.

Nel caso di specie, l’operatore aveva importato dalla Cina, al fine di metterle in circolazione, delle magliette recanti la dicitura “Made in Italy”.

Tuttavia, la preparazione della spedizione destinata alla Cina era stata effettuata da un’altra Società e nei documenti di accompagnamento non vi era nessuna indicazione circa la presenza di etichette con la marcatura “Made in Italy, pertanto, l’operatore non aveva effettuato alcun controllo.

In applicazione dei principi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, non essendovi indici fattuali indicativi della presenza del segno mendace, è da escludere la responsabilità dell’operatore doganale. Il fatto di non aver usato la “massima diligenza” nel controllare il contenuto del pacco configura, infatti, l’elemento soggettivo della colpa e non, invece, del dolo, richiesto dall’articolo 517 del codice penale.